IVAN ILLICH

LA CONVIVIALITA'

Mondadori, Milano 1974

1.

La convivialità è una sintetica summa del pensiero di Illich, che, a distanza di trent'anni dalla sua pubblicazione, conserva ancora una notevole forza d'impatto, non da ultimo per una denuncia del sistema industriale divenuta una bandiera del movimento no-global. L'avversione di Illich nei confronti dell'estensione all'intero pianeta del modello di sviluppo industriale, che ha indotto forze sociali e culturali le più disparate a confluire in quel movimento, è esplicita. Nell'Introduzione egli scrive: "Intendo dimostrare questo: che i due terzi dell'umanità possono ancora evitare di passare per l'età indstriale se sceglieranno sin d'ora un modello di produzione fondato su un equilibrio post-industriale, quello stesso al quale i paesi sovraindustrializzati dovranno ricorrere di fronte alla minaccia del caos." (p. 9)

E' importante sottolineare che Illich parla di sovraindustrializzazione. Il termine, che implica una critica di un modello di sviluppo industriale illimitato, fa capo ad un concetto basilare dell'analisi illichiana: quello della doppia soglia, che concerne la produzione sia dei beni sia dei servizi. La prima soglia, legata allo sviluppo della scienza e della tecnica, è quella il cui superamento mette a disposizione degli uomini "strumenti" che, se adeguatamente utilizzati, possono migliorare il tenore di vita e concorrere all'evoluzione verso un mondo sempre più umanizzato. Superata la seconda soglia, invece, "un'attività umana esplicata mediante strumenti… dapprima si rivolge contro il proprio scopo, poi minaccia di distruggere l'intero corpo sociale" (p. 11), perché "le tecniche ipertrofiche nell'uso di energia o di informazione" (p. 12) ingenerano "rapporti di sfruttamento e di dominio nelle società che le adottano." (p. 13)

La doppia soglia implica che "non esiste un unico modo di utilizzare le scoperte scientifiche, ma perlomeno due, tra loro antinomici. C'è un uso della scoperta che conduce alla specializzazione dei compiti, all'istituzionalizzazione dei valori, alla centralizzazione del potere: l'uomo diviene l'accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia. Ma c'è un secondo modo di mettere a frutto l'invenzione, che accresce il potere e il sapere di ognuno, consentendo a ognuno di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio di iniziativa e di produttività agli altri." (p. 13)

Questo secondo modo è la convivialità: "Chiamo società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni." (p. 14)

Si tratta evidentemente di un progetto utopico, la cui concreta realizzazione è molto difficile da tradurre in termini sociali e politici, al quale però non si può negare un'indubbia originalità. La critica della società industriale è stata infatti sempre appannaggio del pensiero marxista, che ha sottolineato, come fattore specifico del capitalismo l'appropriazione privata degli strumenti di produzione. Questo aspetto non è ignorato da Illich, secondo il quale però tale appropriazione in tanto incide in un processo produttivo inesorabilmente destinato a superare la seconda soglia in quanto gli strumenti che esso produce (beni ma soprattutto servizi) non sono messi a disposizione degli esseri umani per un un uso personale, ma vengono appropriati dagli specialisti per promuovere lo sfruttamento e il dominio. Alla rivoluzione comunista, che punta sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione, Illich, consapevole del fatto che essa più che un nuovo mondo, può produrre semplicemente un capitalismo di Stato, oppone una rivoluzione culturale che consenta a tutti gli esseri di godere degli strumenti che l'ingegno umano produce. In realtà, questa contrapposizione non è radicale. E' evidente infatti che la convivialità non può prescindere dal cambiamento di un modo di produzione incentrato sul profitto illimitato. Ma tale cambiamento non porterebbe ad una società conviviale se non coincidesse con una rivoluzione culturale tale da affrancare gli uomini dalla logica del desiderio infinito che il sistema industriale ha prodotto, orientandoli verso un uso austero dello strumento. Scrive Illich: "L'uomo che trova la propria gioia nell'impiego dello strumento conviviale io lo chiamo austero." (p. 14)

2.

La chiarificazione di questi concetti, che possono apparire d'acchito oscuri, avviene attraverso l'analisi di quattro ambiti dello sviluppo nei quali il superamento della soglia critica è, per Illich, evidente: l'istruzione scolastica, la medicina, i trasporti, l'uso dell'energia.

Il sistema dell'istruzione di massa attraverso la scuola obbligatoria è stato il primo al quale Illich ha dedicato la sua attenzione, giungendo, in Descolarizzare la società, alla conclusione radicale che quel sistema comporta l'uso di "strumenti di condizionamento massicci ed efficaci, capaci di produrre in serie manodopera specializzata, consumatori di cultura docili e disciplinati, utenti rassegnati." (p. 10) Il ragionamento che porta Illich a questa conclusione si fonda sulla distinzione tra apprendimento e insegnamento. Il bisogno di apprendere attraverso l'esperienza è un bisogno radicalmente umano, funzionale ad aumentare il potere dell'uomo su se stesso e sul mondo. L'apprendimento richiede la partecipazione attiva e creativa del soggetto. Posta questa partecipazione, il sapere trasmesso da un maestro è importante, poiché esso pone a disposizione strumenti culturali che sono il prodotto dello sforzo di tutte le generazioni precedenti. Un esempio di questo tipo di apprendimento è quello della lingua: il bambino impara a parlare attraverso l'interazione spontanea con gli adulti e poi lo usa per soddisfare i suoi bisogni espressivi. A differenza di questo apprendimento creativo, l'educazione scolastica è "la preparazione programmata alla vita attiva mediante l'ingurgitazione di istruzioni confezionate in serie." (p. 102)

Che cosa s'impara a scuola? Secondo Illich, "s'impara che più ore vi si passano, più aumenta il proprio prezzo sul mercato. Si impara a valorizzare l'uso scaglionato di programmi… Si impara a valorizzare l'avanzamento gerarchico, la sottomissione e la passività… Si impara a brigare senza indisciplina i favori del burocrate che presiede alle sedute quotidiane, il professore a scuola, il capo in fabbrica. Si impara a definirsi come detentori di un capitale di sapere nella misura in cui si è investito il proprio tempo. Si impara infine ad accettare senza mugugni il proprio posto nella società, cioè la classe e la carriera precise che corrispondono rispettivamente al livello e al campo di specializzazione scolastica." (p. 106)

La scuola, in breve, dà titoli ai quali dovrebbero corrispondere determinate competenze, ma non è detto che ciò corrisponda ad un aumento del sapere e tanto meno della saggezza. La somma di informazioni e di tecniche apprese passivamente è funzionale all'integrazione nel sistema, ma non è cultura. Tanto più questo è vero se si considera che, alla monopolizzazione istituzionale dell'insegnamento, si associa il fatto che, nel nostro mondo, "altri servizi si scoprono una missione educativa. La stampa, la radio e la televisione non sono più soltanto strumenti di comunicazione, dal momento che le si mette coscientemente al servizio dell'integrazione sociale." (p. 109)

L'analisi di Illich è indubbiamente radicale, ma non infondata. La disaffezione massiccia della popolazione scolastica nei confronti dello studio, associata al considerare questo in termini meramente strumentali, è la prova che l'istruzione istituzionalizzata non corrisponde al bisogno di sapere proprio di ogni essere umano. I rimedi riformistici, che tentano di agganciare la scuola alla vita e, in particolare, al mondo del lavoro, per esempio introducendo precocemente l'apprendimento del computer e delle lingue straniere, non fanno altro che accentuare la sua funzione in termini di integrazione sociale.

Del resto, il fallimento della scuola è attestato dal fatto che, laddove (nei paesi occidentali), il tasso di istruzione medio è elevato, ad esso non corrisponde un aumento bensì una degradazione della qualità antropologica. Specifica del nostro mondo è l'esistenza di tecnici specializzati che sanno tutto in un ambito particolare e, in rapporto alla vita, appaiono del tutto sprovveduti di saggezza e di umanità.

E' evidente che Illich non ce l'ha con la scuola in sé e per sé, vale a dire con un'istituzione il cui compito è di agevolare la trasmissione del sapere tra le generazioni, uguagliando le opportunità di sviluppo dei soggetti indipendentemente dalla nascita e dallo status familiare, bensì con l'organizzazione attuale della scuola, funzionale alla riproduzione sociale di un sistema che procede verso la catastrofe. In quest'ottica si può capire che non c'è alcun paradosso laddove egli scrive che "gli uomini non hanno bisogno di una maggiore quantità di insegnamento. Hanno bisogno di imparare certe cose. Bisogna che imparino a rinunciare, il che non si apprende a scuola, che imparino a vivere entro ceti limiti… La sopravvivenza umana dipende dalla capacità degli interessati di imparare, presto, da loro stessi, quello che non possono fare." (p. 109)

Da questo punto di vista, la critica di un sistema scolastico che alimenta nei soggetti l'univoca aspirazione a raggiungere un livello di competenze tecniche che permetta di accedere al maggior numero di beni e di servizi, di aspirare cioè ad uno status di consumo illimitato, è perfettamente coerente.

Come si pone in questa ottica il problema dell'austerità? In termini molto semplici. Austero e felice, per esempio, è il bambino che può provare piacere con una semplice penna e un foglio di carta sul quale esprime la sua creatività scrivendo o disegnando. Integrato e insoddisfatto, viceversa, è il bambino che, si passivizza di fronte ad un computer coi videogiochi utilizzando il 5% delle potenzialità di una macchina e sprecando una quantità rilevante di energia elettrica.

3.

Con la scuola dell'obbligo, la medicina contemporanea è la bestia nera di Illich. Secondo il quale la seconda soglia è stata superata nel corso degli anni '50. Da allora, "la salute è diventata una merce in un'economia di sviluppo." (p. 15) Le statistiche sanitarie, che attribuiscono alla scienza medica un elevato potere preventivo e terapeutico, secondo Illich sono menzognere: "La riduzione a volte spettacolare della morbilità e della mortalità all'inizio del processo d'industrializzazione di un paese è dovuto soprattutto alle modificazioni dell'habitat e del regime alimentare, e all'adozione di elementari misure d'igiene. Le fognature, il trattamento dell'acqua con il cloro, la carta moschicida, l'asepsi e i certificati sanitari richiesti per viaggiare, prostituirsi o lavare i piatti hanno avuto un'influenza benefica assai maggiore dei complessi metodi di cure specialistiche." (p. 16)

Il superamento della seconda soglia, dopo la seconda guerra mondiale ha prodotto "pericolosi effetti secondari sulla salute individuale." (p. 17) Solo lentamente questa realtà, che si iscrive nell'ambito della iatrogenesi, cioè delle malattie prodotte dalle cure e dalle pratiche mediche, è divenuta di dominio pubblico. Secondo Illich, però, al di là della iatrogenesi, un fenomeno imponente che si stenta a quantificare perché la medicina occulta o mistifica i dati a riguardo, c'è qualcosa di più preoccupante: "Al primo posto tra i guasti causati dalla professione, bisogna collocare quella vera e propria malattia "mentale" consistente nella pretesa di fabbricare una salute "migliore"." (p. 17) E' la medicalizzazione della salute, che Illich coglie con straordinaria lucidità: "Il monopolio medico estende la sua azione a un numero sempre crescente di situazioni della vita quotidiana. E non soltanto il trattamento medico, ma anche la ricerca biologica ha contribuito a questa proliferazione delle malattie. Gente che in passato aveva imparato a convivere con le proprie malattie, oggi viene imbottita di medicine… Il ricorso al medico viene ritenuto necessario per una serie sempre più vasta di indisposizioni comuni, sicchè si moltiplicano specializzazioni e paraprofessioni il cui unico scopo è di mantenere l'esercizio terapeutico sotto il controllo della corporazione. Quando, per l'azione del medico, l'incapacità della popolazione generale di provvedere alla propria igiene comincia a crescere, si arriva ad una nuova svolta dell'istituzione medica. Giunti a questa secodna soglia, è la vita che appare malata, in un ambiente deleterio. Attività principale, e grosso affare, della professione medica diventa quella di preservare una popolazione sottomessa e dipendente." (pp. 18 - 19)

La medicalizzazione della salute comporta un costo sociale non più "calcolabile in termini classici: come misurare le false speranze, il peso del controllo sociale, il prolungamento della sofferenza, la solitudine, la degradazione del patrimonio genetico e il senso di frustrazione generati dall'istituzione medica?" (p. 24)

La critica di Illich nei confronti della medicina contemporanea è radicale. A distanza di trent'anni, essa non solo conserva il suo valore, ma sembra comprovata dal diffondersi presso le popolazioni occidentali di un allarme ipocondriaco, che comporta un ricorso costante ai medici e ai controlli in nome della prevenzione (come se un soggetto non potesse più sentirsi in buona salute senza la conferma di un'analisi di laboratorio), da un uso sconsiderato di medicine ad ogni età, dalla crescita continua delle malattie iatrogene, dall'incidenza della spesa sanitaria che rischia di affossare lo Stato sociale, dalla trasformazione in malattie di condizioni fisiologiche (gravidanza, menopausa, allevamento dei figli, ecc.).

Purtroppo, per quanto fondate, le critiche di Illich non hanno trovato ascolto né, per ovvie ragioni, presso la classe medica né presso l'opinione pubblica, a tal punto abbagliata dai risultati raggiunti dal progresso medico e dalle promesse mirabolanti dei settori di ricerca da mettere tra parentesi gli insuccessi, i pericoli e i costi sociali.

La connivenza dell'opinione pubblica con l'istituzione medica si spiega con il fatto che la salute è un fatto individuale, e ogni individuo nel nostro mondo manifesta un attaccamento alla vita che, per quanto comprensibile, in alcuni casi è patetico. La difesa della vita assume sempre più spesso il carattere di un accanimento teraputico, al quale consentono anche i parenti. Salvare alcune vita in virtù di un programma di prevenzione costosissimo sembra un fatto di civiltà. Non si considera che quelle risorse, quale che sia l'efficacia della prevenzione, vengono sottratte a bisogni sociali di gruppi imponenti della popolazione (disoccupati, poveri, anziani).

Per quanto discutibile, anche scelte del genere si potrebbero ritenere significative se non fosse che esse si fondano su di un concetto biologico delle malattie che trascura del tutto sia i fattori patologici ambientali sia i fattori psicosomatici.

In conseguenza di ciò, la medicina contemporanea tenta di svuotare l'acqua del mare con un bicchiere. Le statistiche sanitarie attestano che la gente vive di più e che la lotta contro le malattie consegue continui successi. Esse non dicono che la gente, di fatto, campa peggio di prima. La nemesi medica del terrore prodotto dalla medicalizzazione, denunciata da Illich, è una realtà inconfutabile, che non potrà essere tenuta tra parentesi all'infinito.

4.

Le denunce di Illich del sistema dei trasporti e del problema energetico non sono meno pungenti di quelle rivolte alla scuola e all'istituzione medica. Non vale la pena, però, soffermarsi su di esse perché, a differenza di quelle concernenti la scuola e la medicina, esse sono diventate di dominio pubblico, sono ormai accettate e condivise dai più e, con i problemi alimentari e quelli legati al commercio mondiale, rappresentano i caposaldi del movimento no-global.

E' importante invece approfodire la griglia critica con cui Illich porta avanti l'analisi del sistema industriale avanzato e i rimedi che egli propone.

Centrale, nella teorizzazione di Illich, è il concetto di strumento. Per strumento egli intende qualunque prodotto culturale (sia esso un oggetto, un bene o un servizio) che serve a sopperire alle naturali carenze umane e a soddisfare i suoi bisogni. Più precisamente: "La categoria degli strumenti abbraccia i mezzi ragionati dell'azione umana… Ogni oggetto assunto come mezzo di un fine diviene strumento, ogni mezzo concepito apposta per un fine è uno strumento ragionato." (p, 50) Dato un insieme di strumenti, il cui patrimonio varia da una civiltà all'altra, esso può essere usato in due modi: "Nelle misura in cui io padroneggio lo strumento conferisco al mondo un mio significato; nella misura in cui lo strumento mi domina, è la sua struttura che mi plasma e informa la rappresentazione che io ho di me stesso." (p. 51)

Da una parte, dunque, lo strumento può essere usato da chiunque per scopi determinati da lui stesso. In questo caso si può parlare di strumento conviviale: "Lo strumento veramente razionale risponde a tre esigenze: genera efficienza senza degradare l'autonomia personale, non produce né schiavi né padroni, estende il raggio d'azione personale." (p. 30)

Per un altro verso, però, lo strumento può essere appropriato e usato da alcuni per aumentare il loro potere sugli altri, diminuendone l'autonomia e incrementando le disuguaglianze sociali. E' quanto accade in seguito all'industrializzazione, quando essa supera la soglia critica.

Lo sviluppo industriale avanzato comporta, secondo Illich, cinque minacce per il futuro dell'umanità "insieme distinte e connesse, rette da una mortale inversione dei mezzi in fini" (p. 84)

Tali minacce sono:

1. La degradazione dell'ambiente, che non va solo ricondotta all'aumento demografico, alla crescita illimitata dei consumi e allo spreco di energia, che concorrono tutti a determinare un circolo vizioso il cui effetto univoco è l'inquinamento del pianeta, bensì soprattutto alla pretesa di risolvere quest'ultimo problema tecnicamente, cioè con un ulteriore razionalizzazione del sistema industriale, anziché con una messa in crisi della sua logica strumentale, che promuove il consumismo e pretende di estenerrlo come modello a tutto il pianeta.

2. Il monopolio radicale, che si ha "quando un processo di produzione industriale esercita un controllo esclusivo sul soddisfacimento di un bisogno pressante, escludendo ogni possibilità di ricorrere, a tal fine, ad attività non industriali." (p. 90), ovvero "quando lo strumento programmato spossessa la capacità innata dell'individuo" (p. 92) In conseguenza del monopolio radicale, tale capacità ("di curare, confortarsi, spostarsi, apprendere a costruirsi una casa e seppellire i propri morti" p. 93), viene inibita, l'autonomia degli esseri umani nel provvedere da sé ai propri bisogni diminuisce progressivamente, ed essi si ritrovano ad essere schaivi degli specialisti.

3. La superprogrammazione, in conseguenza della quale l'equilibrio tra il sapere acquisito spontaneamente e quello trasmesso da un maestro viene meno in nome del predominio assoluto dell'insegnamento, per cui il sapere diventa una merce, l'educazione si riduce ad una "preparazione programmata alla vita attiva mediante l'ingurgitazione di istruzioni prodotte in serie" (p. 102) e il mondo intero assume la configurazione di un istituto di "ortopedia pedagogica" (p.102) amministrato da chi sa.

4. La polarizzazione, che, in conseguenza della "centralizzazione dei processi di produzione" (p. 84), non comporta solo un aumento della disuguaglianza sociale, ma soprattutto una distribuzione del potere che viene ad essere appropriato dai pochi. In conseguenza di questo, coloro che hanno meno perdono progressivamente il diritto alla partecipazione politica e alla parola.

5. L'obsolescenza che, in nome di un ritmo sempre più febbrile di sviluppo, comporta, sia a livello privato che pubblico, un cambiamento sempre più celere degli strumenti (mobili, elettrodomestici, automobili, computers, macchine industriali, ecc). L'innovazione obbligatoria non corrisponde ad alcun bisogno autentico delle persone. Essa è una necessità artificiale creata ad arte per condizionare il consumatore fino ad equipararlo ad un drogato, che, incapace di utilizzare al meglio ciò che ha, smania di continuo per ciò che non ha.

Tutte e cinque queste minacce confluiscono nel determinare una sesta: "la frustrazione profonda generata mediante il soddisfacimento obbligatorio e condizionato." (p. 84)

Come porre rimedio ad una situazione che va verso la catastrofe ambientale, sociale e antropologica? Prendendo in considerazione un diverso modello di sviluppo rispetto a quello industriale: "L'avvento del fascismo tecno-burocratico non è scritto negli astri. Esiste un'altra possibilità: un processo politico che permetta alla popolazione di stabilire il massimo che ciascuno può esigere, in un mondo dalle risorse manifestamente limitate; un processo che porti a concordare entro quali limiti va tenuta la crescita degli strumenti; un processo che incoraggi la ricerca radicale intesa a far sì che un numero crescente di persone possa fare sempre di più con sempre meno." (p. 160) A tal fine, occorre una presa di coscienza collettiva che, secondo Illich, sopravverrà ineluttabilmente: "Una coincidenza fortuita renderà manifesta la contraddizione strutturale tra gli scopi dichiarati delle nostre istituzioni e i loro veri risultati. Ciò che è evidente per qualcuno salterà di colpo agli occhi della maggioranza: l'organizzazione dell'inetera economia in funzione dello "star meglio" è il principale ostacolo allo "star bene"." (p. 163)

La presa di coscienza collettiva del vicolo cieco imboccato dalla società industriale non è altro che l'indispensabile presupposto di un cambiamento che non potrà avvenire se non sul piano politico e del Diritto, che dovrà sancire la necessità di un uso conviviale dello strumento, vale a dire il recupero da parte degll'uomo della capacità di usarlo assoggettandolo ai propri fini, anziché esserne usato e manipolato.

5.

E' difficile minimizzare la pregnanza dell'analisi di Illich. A distanza di trent'anni, le minacce che egli ha identificato si sono aggravate, diventando più drammatiche. La degradazione dell'ambiente, la crescita smisurata dei servizi e del terziario, la tendenza alla concentrazione dei capitali e il potere smisurato assunto dalle società multinazionali, il ritmo sempre più febbrile assunto dall'innovazione tecnologica sono realtà inconfutabili. Valorizzare gli aspetti positivi di queste realtà, come fanno i liberisti, minimizzando l'impatto negativo che esse possono avere sull'ambiente, sugli equilibri sociali e sull'uomo sembra francamente un po' ridicolo.

La legge della concorrenza, spinta all'estremo, rischia di comportare la sopravvivenza delle aziende come fine ultimo del sistema, al quale gli uomini devono sacrificare, come produttori, tutto il tempo e le energie di cui dispongono, e, come consumatori, tutte le risorse economiche e la loro stessa autonomia. La promessa di un benessere esteso a tutto il pianeta, intrinseco alla globalizzazione, sembra piuttosto allontanarsi che non realizzarsi, via via che lo sviluppo aumenta la forbice tra ricchi e poveri. La possibilità che le democrazie nazionali o gli istituti internazionali governino e riprendano il controllo su di un capitale finanziario che sempre più persegue l'obbiettivo del profitto fine a se stesso, con mezzi leciti e illeciti, appare estremamente remota.

Al di là di questi aspetti strutturali, che confermano la diagnosi di Illich, c'è anche da considerare che l'ultima minaccia che egli ha elencato, di un malessere generalizzato, nella quale confluiscono tutte le altre, e che, all'epoca, sembrava configurare una diagnosi non corrispondente ai vissuti dei soggetti occidentali, mediamente soddisfatti, è comprovata dalle statistiche sui disturbi psichici che attestano, nell'uòtimo decennio in particolare, un incremento esponenziale. Sarà questa la coincidenza, peraltro ben poco fortuita, che promuoverà una presa di coscienza collettiva sulla perciolosità del sistema industriale? Basterà, poi, tale presa di coscienza ad avviare un processo politico di democratizzazione radicale, che non potrà realizzarsi se non in virtù di un controllo dell'umanità, vale a dire anche di ogni singolo soggetto, sul proprio destino?

Ogni dubbio è lecito a riguardo. La lezione di Illich, che andrebbe approfondita soprattutto per quanto riguarda le consegeunze dell'industrializzazione sulla psicologia collettiva e individuale, è utile per mantenere viva la consapevolezza che non si dà alternativa al procedere verso la catastrofe.

Gennaio 2003